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Il diavolo veste Drogo: la rece di Fast X

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“Listen: there’s logic and cool, and cool wins every time!”
Neal H. Moritz, produttore

“Ciao, mi devi mettere 14 attori in un poster, lasciare fuori Dame Helen Mirren, tenere Tyrese”

La mia performance preferita di Jason Momoa, fino a oggi, era lo sketch del Saturday Night Live “Day of the Dorks”. parodia di La rivincita dei nerd.
Momoa interpreta Beef, l’equivalente di Ogre in salsa Khal Drogo, un bestione primitivo con un’ossessione per i dorks che supera l’appassionata rivalità e sfocia nella follia omicida. Guardatevi lo sketch.
Nella scena introduttiva di Fast X – una riscrittura del finale di Fast & Furious 5 che vede Jason Momoa nei panni di Dante, figlio del villain Hernan Reyes (Joaquim de Almeida ringiovanito di 10 anni dalla truccatrice di Berlusconi) – la sua prima battuta piena di rancore vendicativo è “I’ll kill them all”, detta con lo stesso tono truce con cui diceva “Kill the dorks”. Probabilmente ho sorriso da solo.
Quando lo incontriamo di nuovo dieci anni dopo, è un uomo cambiato: è un attore a cui è stata data carta bianca.

Arriba arriba El Diablo

Un caloroso benvenuto al nostro gentile pubblico: questa è la recensione del decimo film della saga di Fast & Furious, spin-off escluso.
Come da abitudine, per il titolo si sono rivolti a Tyrese Gibson, che è stato waterboardato col whisky, legato incaprettato, rinchiuso in un barile, lanciato giù per una collina di San Francisco con l’EBM sparata nelle orecchie, accolto a schiaffi da Alan Ritchson e John Cena. Tyrese si è rialzato, ha richiesto la carcassa di un armadillo per tastarne le interiora, gli si sono rigirati gli occhi all’indietro tipo Mago dell’Esselunga, e ha dichiarato “il decimo capitolo si intitolerà Fast X”. Il notaio era presente, si è segnato tutto e sono tornati a lavorare. Non importa che sembri il nome di un medicinale clandestino.
Ma la cosa importante da dire è: non è che cambiano formula adesso.
È il gran finale.
È la prima parte del gran finale.
È la rincorsa all’apoteosi. Fast & Furious: Infinity Wars. Fast & Furious: i doni della morte. Fast & Furious: Breaking Dawn.
Se non vi son piaciuti gli altri è inutile che venite a lamentarvi di questo, e di certo non si disturbano ora a tentare di essere comprensibili/accomodanti per chi i capitoli precedenti non li ha nemmeno visti. Lasciate perdere.
Fast & Furious è tamarraggine, famiglia, macchinine brum brum, stunt fantasiosi, musica demmerda, le tecniche narrative più consolidate della tradizione da soap opera, le leggi della fisica di Bollywood, croci, camicie smanicate, siparietti comici da sit-com anni ‘70, multiculturalità, wrestlers.
Fast & Furious è “cool over logic, always”, come dice giustamente il suo illuminato produttore.
Fast & Furious è il tipo di saga che ingaggia ben quattro premi Oscar – Charlize Theron, Helen Mirren, Rita Moreno, Brie Larson – e poi li relega a ruoli di contorno per dare carta bianca a Jason Momoa.
E la cosa fa ridere non solo perché Momoa viene trattato come manco Joaquin Phoenix, ma che i suddetti premi Oscar hanno insistito loro per esserci! Sono fans! Lo hanno chiesto esplicitamente, in pubblico!

Family.

Il cast è diventato enorme, sia di numero che fisicamente, ma Fast & Furious trova posto per tutti.
Fast & Furious è il tipo di saga la cui definizione di “scena di raccordo” è “sottotrama con attore famoso”. Servono tanti attori famosi quante scene di raccordo risultano necessarie fra un inseguimento e l’altro, e vengono ingaggiati di conseguenza. Al capitolo seguente, l’attore meno famoso del mucchio viene retrocesso e rimpiazzato da qualcuno più famoso di lui. A questo turno ad esempio tocca al povero Scott Eastwood, il cui personaggio si chiama “Piccolo Nessuno” che per coincidenza è anche come lo chiamavano sul set: dopo un’anonima uscita di scena a seguito della prima grande sequenza d’azione, viene rimpiazzato da Brie Larson (che al contrario suo ha un nome: Tess).
In un’altra sottotrama abbiamo John Cena: nel nono capitolo era l’inflessibile capo di una mega-organizzazione criminale internazionale, qui è di colpo “Zio Jacob” che porta Toretto Jr. in vacanza vestendosi da scemo e ascoltando la dance degli anni ‘90 in cassetta.
C’è anche un’altra cosa che salta all’occhio in questo episodio: per essere la saga che per prima ha lanciato e calcato fortissimo sul concetto di famiglia non biologica, ci sono un gran mucchio di personaggi imparentati con altri personaggi. Solo in questo film, abbiamo ben tre new entries che si rivelano figli e/o sorelle di qualcuno già conosciuto.
In tutto questo, rimane obbligatoria la panoramica malinconica su vecchie foto con Brian ma non ci si disturba più a spiegare perché non è nei paraggi.

“Mi chiamo Tess. Bechdel Tess.”

Ma ecco, in realtà potrei scrivere l’intero pezzo soltanto su Jason Momoa.
È il suo trionfo.
Qualcuno di illuminato ha pensato “non sa recitare: fatelo bere, ditegli di portare il suo guardaroba da casa, e fategli fare quello che gli pare in libertà”.
È stata la mossa vincente, perché Jason sembra arrivato nel paese dei balocchi.
Sembra un bambino a cui è stato detto “hai vinto, puoi interpretare il tuo ruolo preferito, quello che hai sempre sognato di interpretare fin da quando eri bambino: il cattivo di Batman. Quello degli anni ’60”.
E Jason è semplicemente incontenibile.
Vi sembrava incontenibile in Aquaman? In Aquaman, a confronto, pare Gary Oldman in La talpa.
È la scelta perfetta per il villain, perché va di puro istinto ed energia a mille, e di conseguenza risulta di svariate spanne più interessante, imprevedibile e carismatico di tutti i ruoli standard in cui negli anni avevano ingessato i vari Luke Evans, Jason Statham, Charlize Theron e John Cena.
Che poi intendiamoci: il suo istinto non è sempre dei più raffinati e la sua idea di ambiguità sessuale a volte sfiora le caricature gay degli anni ’70, ma la sua è una scossa elettrica fondamentale in una saga in cui il protagonista, per limiti di età e arroganza, è sempre più bolso.
Nel film, il suo personaggio viene soprannominato “El diablo”: ripensandoci, più che a un villain del Batman degli anni ’60, per esuberanza e anarchia la performance di Momoa è quanto di più vicino uno come lui possa ricordare Benigni nei panni di Giuditta.
Fast X è la prima parte del gran finale che ci è stato promesso: se c’era un villain che meritava il doppio turno, era questo.

Va tutto bene

Non so, cosa si chiede a una saga che arriva al decimo capitolo?
La strada di Fast & Furious non è stata senza intoppi, ma non c’è mai stato niente del genere: James Bond a quest’ora aveva già contato due reboot totali e poteva contare anche su un sacco di materiale letterario.
Specie dopo il nono capitolo, si è abbondantemente capito che l’apice di Toretto e la sua gang era ormai stato superato.
Con l’abbandono di Justin Lin a metà riprese avevo iniziato a temere per il peggio: sembrava essere stato il litigio di troppo che aveva fatto sfuggire di mano ogni cosa.
E invece non è sfuggito di mano nulla, a rivelare una volta per tutte che la vera forza trascinante della saga è Vin Diesel e che se lui è concentrato va ancora tutto bene. E Vin non ha motivo di essere concentrato: questa ormai è la sua missione di vita.
Justin aveva già girato cose prima di abbandonare la baracca e rimanere a bordo unicamente come produttore, ma Louis Leterrier era la scelta perfetta: il miglior alunno della scuola Luc Besson, che fin dai tempi di Transporter ha sempre girato dei piccoli economici Fast & Furious. Leterrier è sempre stato un regista tamarro e spettacolare e con mano grossolana su tutto ciò che non è action: qui si infila in una macchina già oliata e avviata su strade che conosce bene: arrivando a metà procedimenti con qualche ritardo da recuperare non ha tempo di dimostrare chissà quale personalità, e il suo contributo è equiparabile a quello di una cover band che esegue il compito con fedeltà e orgoglio.

Finalmente a Roma, la città dove gli autobus esplodono da soli

Fast X è il primo film della saga che per certi versi rinuncia a rilanciare sul precedente, se contiamo la gita nello spazio come la tacca da superare.
L’inizio a Roma però è all’altezza di quello che ci si aspetta da un brand come Fast & Furious, incluso il mischiare Roma con Torino (omaggio a Dario Argento?): è un antipasto strappa-applausi che presenta comunque l’esplosione più grossa della saga, e serve a creare inerzia per una parte centrale in cui le scazzottate abbondano ma l’azione rallenta per dare spazio a tutti.
Il finale ricorda un po’ la sequenza in autostrada del pre-finale di Fast & Furious 6, ma quando vedi un’auto che tira un elicottero contro un’altra auto ti ricordi perché ami questa saga.
In mezzo, Jason Momoa è la carta a sorpresa che spariglia il mazzo e tiene tutti sull’attenti, rimediando alla stragrande a un lieve calo di ispirazione coreografico che, al decimo capitolo, e con l’abbondanza a cui ci avevano abituati, non mi sento di indicare come colpa: due sequenze della madonna, di questi tempi, sono comunque grasso che cola.
E non vi rovino le sorprese post-credit ma sono il trionfo della potenza di Vin Diesel.
Fast X dovrebbe essere la prima parte di due anche se, più carico che mai, Vin ha annunciato che potrebbe stirare questo finalone a tre parti (e come le chiama? Fast X2 e Fast X3: conflitto finale?). Comunque vada, temo che sull’ultimo suderò copiosamente dagli occhi.

A presto.

Quote:

“Più forte di tutto è l’amore.
Più forte dell’amore è… Vin Diesel, per esempio.”
Nanni Toretti Robertetti Cobretti, i400calci.com

>> IMDb | Trailer

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